L’esercizio dei pubblici poteri, il contenzioso e la funzione tributaria.

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Sommario

L’occasione di incontro. 1

Funzione di giustizia. 1

…e giustizia verso altre pubbliche funzioni 1

L’interazione tra amministrazione e giustizia sull’amministrazione. 1

La destabilizzante cannibalizzazione processuale della funzione tributaria. 1

Le proposte della commissione. 2

L’occasione di incontro

La relazione della commissione sulla giustizia tributaria si occupa di problemi operativi e non poteva certo affrontare un tema giuridico-sociale generale, come il ruolo del giudice rispetto all’esercizio di poteri amministrativi. Del resto, è mancato un mandato in tal senso. Sennonché, ci sono alcuni profili e principi generali sul ruolo del giudice rispetto alla generalità dei pubblici poteri che, se non adeguatamente valorizzati impediscono

qualsiasi efficiente riforma del processo tributario.

Funzione di giustizia

L’equivoco di fondo, diffuso anche oltre l’ambiente tributario, è quello di concepire l’intervento del giudice secondo le logiche della funzione di giustizia privatistica (ne cives ad arma veniant), ossia per risolvere le controversie salvaguardando la “pace sociale”, evitando l’esercizio privato delle proprie ragioni ( autotutela privata), ritorsioni , faide ecc….La logica originaria della funzione di giustizia è insomma  quella di comporre il conflitto tra pari.

…e giustizia verso altre pubbliche funzioni

L’intervento del giudice rispetto alle funzioni pubbliche si offre, invece, come fase estrema di una protesta politico-amministrativa sull’esercizio di altre funzioni pubbliche, dove la parità sostanziale si raggiunge dalla valorizzazione delle diversità tra pubblici funzionari e privati.

Gli antecedenti logici dell’attuale giurisdizione amministrativa sono quindi la rimostranza verso i superiori gerarchici, fino alla politica e alla base sociale del potere di quest’ultima. Il potere politico è delegato dalla società (anche se in una prima fase nessuno dei due ne ha la consapevolezza) ed è il naturale supervisore di coloro che ha ulteriormente delegato a singole funzioni pubbliche. Anche nel controllo il modello resta quindi la relazione bilaterale tra individuo e istituzioni, cioè pubblici poteri in senso ampio, comprensivi del vertice politico, degli esercenti delegati di funzioni pubbliche, dei delegati a funzioni di supervisione; il giudice amministrativo è quindi il termine di questo percorso evolutivo rispetto all’antico regime. Con esso le ripartizioni di competenze, controlli e contrappesi (checks and balances)  dello stato di diritto intervengono anche sulla politica, soggetta a vincoli giuridici, limitandone la precedente “assolutezza”, che non significava ingerenza casuale e estemporanea del sovrano in tutte le questioni, inconcepibile in una collettività organizzata (è il vero senso del quod principi placuit legis habet vigorem).

Di questi controlli e contrappesi fa parte anche l’autonomia ordinamentale del giudice amministrativo rispetto al governo e all’autorità politica, con un distacco tra esercizio delle funzioni pubbliche e loro controllo-supervisione ad iniziativa degli interessati. Si tratta, ripetiamo, di un percorso concettuale molto diverso rispetto all’estensione ai rapporti tra funzioni pubbliche e individui dell’ordinaria funzione di giustizia, come intervento pubblico per la soluzione di conflitti privati, rispetto ai quali l’indipendenza dalle parti è un presupposto di credibilità. Lo conferma l’esistenza, già nell’antico regime, di consigli di stato e altri organi amministrativi, che istruivano i reclami contro un ipotetico cattivo esercizio dei pubblici poteri. L’indipendenza del giudice amministrativo dal potere politico, cui è associato il carattere giurisdizionale, ha quindi radici diverse dalla giustizia civile, ed è semplicistico considerare la giustizia amministrativa, e tributaria in particolare, come l’estensione della giustizia civile alle autorità pubbliche, in precedenza ad essa sottratte per un ipotetico privilegio.

L’interazione tra amministrazione e giustizia sull’amministrazione

Il giudice amministrativo eredita il ruolo del potere politico di cui al punto precedente, nel controllo delle pubbliche funzioni. Benchè indipendente dalla politica il giudice amministrativo è consapevole di esercitare una funzione pubblica di controllo su una diversa funzione pubblica.   Consapevolmente o meno, invece, chiunque sia il giudice di una funzione pubblica, esaminando la correttezza del suo comportamento, diventa giudice amministrativo, con le seguenti conseguenze: 1) l’attenzione si appunta sulla correttezza dell’esercizio della funzione e quindi sulle sue modalità e possibilità 2) sono possibili gradazioni tra capire che la funzione è stata esercitata male e possibilità materiale di sostituirvisi, esercitandola di nuovo; necessità di gestire culturalmente anche l’eventualità di interventi correttivi, ma non sostitutivi rispetto all’azione amministrativa.  

La mancata specificazione di queste premesse generali sulle diverse pubbliche funzioni, compresa quella tributaria, genera pregiudizi positivi e negativi pro e contro l’ufficio pubblico coinvolto, con innumerevoli sfumature tra giustizialismo casistico pro privato e realismo pro amministrazioni. Queste premesse generali vanno adeguate alle varie funzioni pubbliche, compresa quella tributaria, tenendo conto che la loro specificità può comportare una pluralità di strumenti di tutela contro il loro cattivo esercizio, in una combinazione tra rimedi amministrativi e giurisdizionali.

La destabilizzante cannibalizzazione processuale della funzione tributaria

Buona parte delle confusioni sul processo tributario derivano proprio dall’essere stato affrontato in modo privatistico, senza chiarire questi aspetti preliminari del controllo generale sul cattivo esercizio di pubbliche funzioni.

In materia tributaria purtroppo, la vischiosa tradizione delle commissioni, geneticamente amministrative e imbellettate di giurisdizionalità per poterle mantenere, ha impedito una riflessione seria sui temi dinanzi evocati. Si discute da anni, ed anche oggi, su “chi deve fare il giudice tributario”, trascurando le proficue indicazioni della diversa domanda su “cosa deve fare” il giudice tributario. Le relative riflessioni e risposte, basate su una combinazione tra rimedi amministrativi e giurisdizionali, aiutano invece nelle polemiche, altrimenti contingenti e in vari sensi corporative,  sull’individuazione del miglior giudice tributario. Senza questa spiegazione sociale continuerà la rincorsa alle convenienze particolaristiche e corporative tra amministrazione finanziaria, magistrature ordinarie, giudici tributari laici, ministero dell’economia e finanze, ragioneria dello stato.

Su  questo sfondo confusionario ciascuno cercherà di mantenere, anche solo per pigrizia mentale, il proprio assetto, pur continuando ad avvertire il malessere generale e a lamentarsene.

L’attuale situazione, che vede l’amministrazione soggetta ad un giudizio globalizzante, rescindente e rescissorio, alimenta l’atteggiamento degli uffici tributari di notificare l’accertamento e poi far decidere il giudice, così deresponsabilizzandosi e diminuendo l’impatto del proprio intervento (“io ho fatto, passo la palla al giudice”). Viceversa, se l’intervento del giudice si limitasse a censurare il cattivo esercizio del potere, ma lasciasse comunque aperta la responsabilità dell’Agenzia ad un suo esercizio corretto, l’Agenzia non potrebbe più arroccarsi dietro la prassi sopradetta: è lei che deve decidere i termini della pretesa.

Le proposte della commissione

Rispetto a quanto precede le proposte della commissione restano abbastanza indifferenti, avendo solo un sapore istituzionale, e tutto sommato di breve respiro. Bisogna imparare il diritto tributario, certo, però bisogna imparare anche a fare i giudici. Personalmente avrei incardinato le conoscenze di diritto tributario su una giurisdizione già esistente, nel senso che essere giudici avrebbe dovuto essere una pre-condizione per accedere in posizione di fuori ruolo alla magistratura tributaria. Mi si obietta che i giudici “non vogliono dedicarsi al tributario a tempo pieno”, ma su diecimila tra ordinari, amministrativi e contabili se ne sarebbero trovati forse 500 a rotazione desiderosi di occuparsi a tempo pieno alla funzione tributaria. Non vedo divieti costituzionali alla trasformazione di una magistratura onoraria (part time) a una magistratura “di ruolo”. Mi pongo solo qualche problema, indicato più avanti,  di fattibilità-opportunità a varare la quarta specifica  magistratura. Un aspetto comune di entrambe le proposte è aprire al tempo pieno, benchè quella dei giudici mantenga soprattutto in primo grado magistrati onorari. Un appunto ad entrambe le proposte è quello formulabile allo “spontaneismo creativo italiano”, che senza ancora aver bene capito cosa sia meglio fare, bisticcia su chi lo debba fare. Su questo sfondo la proposta “accademica” ha il pregio di  valorizzare per la prima volta i contenuti tributari. Proprio in questo pregio stanno però le perplessità per una nuova magistratura monofunzionale, senza una vera tradizione e una visione d’insieme generale della posizione del giudice rispetto alla specifica attività amministrativa di riferimento. Mi chiedo se l’ambiente culturale del diritto tributario, che applaudiva alla destabilizzante  giurisdizionalizzazione del 1992, sia in grado di esprimere una magistratura con adeguato retroterra. Bisognerebbe approfondire gli ingredienti per far nascere un giudice, compreso il bagaglio esperienziale e le tradizioni che formeranno sul campo i nuovi giudici tributari reclutati per concorso esterno. Non riesco a fare previsioni sui tempi e modi di traghettamento tra vecchie commissioni e nuovi reclutamenti per concorso. La proposta dei giudici è meno attenta alla specializzazione per materia e più alla tradizione e alle caratteristiche generali del giudice.  Una sintesi avrebbe potuto essere il reclutamento dei magistrati tributari all’interno di chi è già magistrato, ponendolo in posizione di comando, con possibilità di rientro e permanenza minima. Si sarebbero potute modificare  le prove di accesso ai concorsi di magistratura con una specializzazione tributaria, depotenziando quella penale. Io avrei insomma incardinato la specializzazione tributaria sulla cornice generale della preparazione /esperienza generale dei magistrati di ruolo già esistenti, evitando di imbastire una quarta giurisdizione, ma posso sbagliarmi.

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