Il cortocircuito istituzionale generato dall’esito del referendum sulla “Brexit”  ha raggiunto un nuovo apice dopo che, nella giornata di ieri, 3 novembre 2016, la High Court of Justice ha stabilito che per innescare l’art. 50 del Trattato sull’UE e rendere così effettivo l’esito del referendum, occorre una deliberazione del Parlamento, non essendo invece idoneo – in base al diritto costituzionale del Regno Unito – un atto del Governo basato sulle antiche prerogative della Corona. Le reazioni del mondo politico e dei media britannici, che non hanno esitato nell’additare i giudici della High Court come dei “nemici del popolo”, sono per molti versi sorprendenti e paradossali: una sentenza che riafferma la centralità del Parlamento e della democrazia rappresentativa, a difesa dei diritti dei singoli nei confronti dell’esecutivo e delle prerogative regie ad esso tramandate, viene dipinta come una manovra di palazzo e una pronuncia che vanifica la volontà degli elettori, al malcelato fine di intralciare l’uscita del Regno Unito  dall’Unione Europea.

Il ragionamento sottostante, basato su un argomento di logica apparente, pare essere il seguente: se già il popolo si è espresso a favore della Brexit, si deve prendere atto della sua volontà e darvi senza indugio esecuzione, mentre non avrebbe senso richiedere un passaggio parlamentare, che se confermativo nulla aggiungerebbe alla volontà del popolo sovrano, che si è già espresso, e se negativo invece la tradirebbe.

Questo modo di argomentare trascura però alcuni dati fondamentali, che possiamo così riassumere:

i) il referendum sulla Brexit (“The Referendum Act 2015”) era meramente consultivo, come ben spiega l’High Court (punto 106 della pronuncia: “The Act falls to be interpreted in light of the basic constitutional principles of parliamentary sovereignty and representative parliamentary democracy which apply in the United Kingdom, which lead to the conclusion that a referendum on any topic can only be advisory for the lawmakers in Parliament unless very clear language to the contrary is used in the referendum legislation in question. No such language is used in the 2015 Referendum Act”);

ii) l’adesione del Regno Unito ai trattati della Comunità e poi Unione Europea (l’European Community Act del 1972) è avvenuto con un atto parlamentare che implica, finché durerà la membership, l’introduzione nell’ordinamento britannico di diritti individuali e di una legislazione domestica, legata all’adesione ai trattati. Basti ricordare il principio dell’effetto diretto del diritto comunitario, la immediata invocabilità da parte dei singoli dei regolamenti comunitari e di alcune direttive (se scadute e sufficientemente precise), nonché la legislazione domestica di recepimento delle direttive;

iii) l’uscita dall’UE comporterà, dunque, importantissime modifiche alla legislazione domestica del Regno Unito e ai diritti dei suoi cittadini;

iv) nel diritto costituzionale inglese la prerogativa di fare, modificare e abrogare le leggi appartiene da secoli al Parlamento, non alla Corona e al Governo: citando Dicey, la Corte ricorda che il Parlamento “has the right to make or unmake any law whatever; and, further, that no person or body is recognized by the law… as having a right to override or set aside the legislation of Parliament”, che le leggi sono valide anche se contrarie all’opinione dell’elettorato, mentre la “subordination of the Crown (i.e. the executive governement) to law is the foundation of the rule of law in the United Kingdom” (punto 22);

v) nella tradizione costituzionale britannica è principio radicato che la Corona (il Governo) non ha il potere di modificare la legge, e che sarebbe soprendente se, alla luce di questa tradizione, il Parlamento, nell’approvare l’adesione all’UE, avesse lasciato all’esecutivo il potere di far cessare quest’adesione a propria scelta (punto 87: “The wide and profound extent of the legal changes in domestic law created by the ECA 1972 makes it especially unlikely that Parliament intended to leave their continued existence in the hands of the Crown through the exercise of its prerogative powers. Parliament having taken the major step of switching on the direct effect of the EU law… it is not plausible to suppose that it intended that the Crown should be able by its own unilateral action under its prerogative powers to switch off again”);

vi) le prerogative della Corona (del Governo) in materia di relazioni internazionali operano appunto sul piano del diritto internazionale, ma non hanno effetti sul diverso versante del diritto domestico, che invece subirebbe importanti cambiamenti a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Si noti poi che l’High Court non contesta in alcun modo la sovranità del Parlamento britannico nelle decisioni concernenti la partecipazione o meno all’Unione Europea, e il diritto di revocare l’adesione ai Trattati (20-21: “There is no superior form of law than primary legislation, save only where Parliament has itself made provision to allow that to happen. The ECA 1972, which confers precedence on EU law, is the sole example of this. But even then Parliament remains sovereign and supreme, and has continuing power to remove the authority given to other law by earlier primary legislation. Put shortly, Parliament has power to repeal the ECA 1972 if it wishes”).

E nemmeno contesta il risultato e il significato politico del referendum sulla Brexit (punto 108: “This Court does not question the importance of the referendum as a political event, the significance of which will have to be assessed and taken into account elsewhere”).

Quello che la Corte intende affermare nella sua sentenza è che la portata politica del referendum deve essere tradotta in atti giuridici coerenti con la tradizione costituzionale e con la rule of law, che vede le prerogative dell’esecutivo subordinate a quelli del Parlamento, unico organo che si deve presumere dotato del potere di attuare un contrarius actus rispetto all’adesione all’Unione Europea.

Che cosa ci sia di eversivo in tutto questo, e come si possa considerare gli estensori della sentenza dei nemici o traditori del popolo, resta un discreto mistero, forse spiegabile soltanto con pressapochismo e ignoranza giuridico-istituzionale, e con una commistione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Può darsi che dietro alle scomposte reazioni alla sentenza vi sia l’inquadramento  del rapporto tra popolo e Parlamento all’interno degli schemi civilistici della rappresentanza, in cui il rappresentato conserva sempre la possibilità di agire personalmente in forza della propria legittimazione primaria, revocando tacitamente la procura.

Peccato che qui ci si muova in un contesto pubblicistico completamente diverso, in cui il popolo esercita i propri poteri sovrani attraverso organi rappresentativi, in una sorta di rappresentanza legale-istituzionale organica. Il potere di fare (o disfare) le leggi, negli ordinamenti costituzionali, non appartiene direttamente al popolo, ma ai suoi rappresentanti, salvo specifiche previsioni, come nel caso del referendum abrogativo: ma non mi sembra che qualcuno affermi, né del resto il Governo britannico lo ha sostenuto, che il referendum sulla Brexit, anziché avere carattere consultivo, abbia provocato direttamente l’abrogazione della legge del 1972 di adesione al Trattato UE. Tanto è vero che il Governo britannico si appella all’antica prerogativa reale in materia di relazioni internazionali, non già a un effetto diretto dell’esito referendario sulla legislazione interna. Se dunque il referendum sulla Brexit aveva, come tutti sembrano riconoscere, carattere meramente consultivo, lo stesso rileva alla stregua di una importante indicazione di ordine politico, che spetterà al Parlamento britannico elaborare e tradurre in atti giuridici concreti.

I giudici della High Courts hanno scritto un piccolo trattato di cui se fossi un britannico andrei fiero, che, attraverso un ineccepibile percorso giuridico  e solidi riferimenti alla tradizione costituzionale britannica, alla Glorious Revolution e al Bill of Rights, riafferma la centralità del Parlamento rispetto ai poteri dell’esecutivo, a protezione dei diritti dei singoli e del secolare istituto della democrazia rappresentativa. Se la sentenza viene invece letta come una manovra di palazzo e un attentato ai voleri del popolo sovrano, tutto quel che possiamo attenderci in futuro è il ritorno a un nuovo medioevo (che forse è già qui).

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