Flat Tax, pregi e difetti

Le proposte, recentemente rilanciate da alcune parti politiche, di trasformare l’attuale imposta personale sul reddito in una “flat tax”, meritano la considerazione degli studiosi, che non devono  schierarsi aprioristicamente pro o contro tali proposte, quanto metterne in luce i benefici, gli svantaggi e ancor prima la stessa fattibilità, giuridica ed economica. 

In quest’ottica, occorre in via preliminare farsi carico dell’obiezione, che molti stanno avanzando, secondo cui un modello di “flat tax”, cioè un’imposta ad aliquota proporzionale con esenzione del minimo vitale ed eventuali deduzioni/detrazioni decrescenti al crescere del reddito, non sarebbe nemmeno concepibile, in quanto in contrasto con l’art. 53 secondo comma della Costituzione e il principio di progressività. In realtà, se si considera che la Costituzione non richiede imposte ad aliquote progressive, ma solo che il sistema sia ispirato a “criteri” di progressività, non vi è ragione per escludere dal novero delle opzioni normative quella di un’imposta sul modello della “flat tax”, che realizza la cosiddetta progressività “per detrazione” (o per deduzione), e a seconda dell’estensione della fascia esente, dell’introduzione di ulteriori deduzioni e del livello dell’aliquota, può dar luogo ad una progressività anche molto accentuata. Per un maggiore approfondimento sul punto rinvio comunque al capitolo nono del mio “La giustificazione sociale dell’imposta” (Il Mulino, 2014), in cui ho cercato di dimostrare che un qualsivoglia tasso ancorché minimo di progressività rispetta l’art. 53, che in realtà pone il solo limite di “non regressività” del sistema.

Stabilito che la “flat tax” non è incompatibile con la nostra Costituzione, ne vanno esaminati vantaggi e controindicazioni. I benefici della flat tax sono molti: in termini di semplicazione del sistema, poiché verrebbero disboscate o eliminate del tutto le miriadi di detrazioni, oneri deducibili, agevolazioni, etc., affastellatesi negli anni e fonti di irrazionalità e inefficienza (oltre che di perdita di gettito); facendo venir meno i disincentivi a produrre “al margine” (effetto sostituzione), gli splitting del reddito e gli arbitraggi fiscali (si pensi all’utilizzo del trust o di intestazioni societarie di beni utilizzati per il godimento personale al fine di evitare  la progressività dell’aliquota personale); reintroducendo un minimo di equità nel trattamento di redditi appartenenti a diverse categorie, ponendo così fine a quella “discriminazione qualitativa dei redditi” all’incontrario che connota l’ordinamento italiano, in cui i redditi temporanei, di lavoro, sono tassati ad aliquote progressive, mentre quelli perpetui, fondati sul capitale, scontano un’imposta proporzionale.

L’aliquota della “flat tax” andrebbe tuttavia fissata, ragionevolmente, ad un livello più elevato del 15 o del 20 per cento (come indicato da alcune proposte avanzate in sede politica), e assestarsi piuttosto su livelli attorno al 25-27 per cento. In questo modo, unitamente a una significativa fascia esente, si otterrebbero non solo un adeguato tasso di progressività, ma ulteriori risultati in termini di equità e trasparenza del sistema: l’aliquota della flat tax verrebbe infatti allineata a quella dei redditi di capitale e delle plusvalenze (le odiate “rendite finanziarie”…), e a quella applicabile ai redditi societari (oggi pari al 27,5 per cento). Un tale allineamento appare anzi imprescindibile: lo stesso non solo renderebbe neutrale lo strumento giuridico di esercizio dell’impresa, ma eliminerebbe alla radice il problema di tassazione dei dividendi e quello del coordinamento tra fiscalità societaria e fiscalità dei soci. Un’aliquota di questo tipo sembra inoltre maggiormente in grado di garantire la sostanziale invarianza del gettito, che a sensazione un tasso d’imposta del 15-20 per cento metterebbe a rischio (come parrebbero dimostrare anche alcuni primi calcoli che sono stati effettuati).Nella perdita di gettito occorrerebbe tener conto anche della  riduzione dell’aliquota sostitutiva sul risparmio e di quella sui redditi societari, che certo non potrebbero essere oggetto di aliquote differenziate come accade oggi. Certo una parte di tale gettito potrebbe essere recuperata contando sulla minore convenienza a evadere o a eludere, ma qui sembra molto difficile fornire delle cifre attendibili.

Resterebbe da risolvere, invece, il problema dell’esenzione del minimo vitale per i redditi prodotti attraverso società, non facilmente gestibile se non ipotizzando un rimborso ai soci di una quota delle imposte pagate dalla società, dietro dimostrazione della situazione personale del singolo socio. Nei sistemi di “flat tax” la fascia esente assume un rilievo maggiore rispetto ai tributi personali con aliquote progressive, posto che è sulle deduzioni alla base che si gioca in buona parte l’effettivo grado di progressività del sistema. Dunque la stessa andrebbe garantita, in qualche modo, anche ai redditi prodotti attraverso strutture societarie, ma non c'è dubbio che si tratti di uno snodo tecnico assai complicato, noto da tempo agli studiosi della tassazione dei redditi societari.

La flat tax comporterebbe d’altra parte la perdita di alcune caratteristiche di “personalità” dell’imposta, legate alle detrazioni per carichi di famiglia, alla detrazione/deduzione di spese mediche e di molte altre spese aventi rilevanza sociale. Mi sembra tuttavia che i pregi, in termini di semplicità applicativa, semplificazione del sistema, eliminazione di arbitraggi, equità orizzontale nel trattamento di redditi aventi diversa natura, potrebbero sopravanzare i benefici, senza rinunciare del tutto a quella “equità verticale” che anche la progressività per deduzione è a certe condizioni in grado di garantire. E comunque non si deve dimenticare che l’attuale Irpef ad aliquote progressive è ben lontana dal modello della “comprehensive income tax”, visto che molti redditi sfuggono all’imposizione progressiva (come i  canoni di locazione e i rendimenti del risparmio).

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