Discorsi sull'evasione al punto di partenza, ma non è colpa di ballarò

L'ultima puntata di Ballarò ha rimesso al centro lo strumentario esplicativo dell'evasione fiscale proposto trent'anni fa da Giorgio Benvenuto e dalla UIL, coi cartelli dei commercianti che dichiarano meno dei dipendenti etc.etc. Con Stefano Livadiotti, valente giornalista dell'espresso, che parlava dei ladri di tasse, come avevamo scritto su questo precedente post . E' un approccio del tutto legittimo in quanto sono discorsi con un capo e una coda. Riduttivi quanto vogliamo, e che si scontrano con discorsi altrettanto riduttivi sull'eccessività del carico fiscale, l'evasione di sopravvivenza e tante altre cose di cui abbiamo già parlato. Ballarò fa bene a tornare sui discorsi della UIL degli anni ottanta del secolo scorso, in quanto non sono mai stati affrontati in modo organico, ma sono stati appunto esorcizzati con discorsi riduttivi in senso opposto. Altrettanto provvisti di un capo e di una coda , come quelli di Livadiotti, però con una direzione diversa. Alla fine spiace che il paese si laceri tra interpretazioni sensate dove nessuno riesce a trovare un momento di sintesi , di serenità oggettiva e di pacificazione contro le lacerazioni sociali indotte da opposti sensazionalismi. Quelli dello "stato predone" e degli evasori cattivi. Registro solo che l'interpretazione di Livadiotti, pur sensata ,  è minoritaria nel paese perchè la pubblica opinione ha intuito che l'evasione fiscale non è una perversione privata di piccoli commercianti , artigiani e altri titolari di redditi non determinabili attraverso le aziende, ma è una delle tante disfunzioni di uffici pubblici paralizzati dalla necessità di stimare la ricchezza non registrata senza protezioni legislative. Incapaci cioè di valutare l'ordine di grandezza dei redditi di  un pasticcere senza una norma legislativa che li tenga per mano. La pubblica opinione intuisce anche che i famnigerati  "autonomi" ladri dichiarano comunque  più diquanto gli uffici sarebbero in grado di chiedergli attraverso il controllo valutativo del territorio. La pubblica opinione capisce che l'evasione non è una perversione del privato, ma un fallimento della funzione pubblica di determinazione dei tributi, per colpa dell'idea distorta di "governo della legge" , che spinge prima di tutto la macchina pubblica ad essere "a posto" e solo secondariamente a svolgere i propri compiti. La pubblica opinione, compresi i lavoratori dipendenti, avverte che a parti invertite si comporterebbe esattamente come "gli autonomi", perchè le imposte si pagano nella misura in cui si avverte una loro richiesta sistematica da parte degli uffici tributari, presenti sul territorio. Va bene, non facciamo i blitz tipo cortina,  però se ci facciamo vedere è meglio. In tutte queste riflessioni il livello di discorso di Livadiotti va benissimo, come quello dei  suoi oppositori. A conferma che se  i professori spacciano per scientifici discorsi senza nè capo nè coda, la società semplicemente "li rimuove", e va per conto proprio. Se gli studiosi sociali non sanno oparlare al paese, tra il normativismo dei giuristi e la sociomatematica degli economisti, è del tutto legittimo che la pubblica opinione parli per conto suo. Con discorsi  sensati, anche se molto somiglianti alle chiacchiere del bar dello sport, perchè è sempre meglio che perdere  la sensatezza, il contatto col bagaglio culturale degli ascoltatori. Gli studiosi non sanno parlare, e piano piano hanno perso credibilità, facendo abbassare il livello di sforzo che la pubblica opinione è disposta a compiere per seguirli. Dopo aver preso tante fregature, la gente appena sente un discorso incomprensibile e professorale cambia canale. Quindi va benissimo che di evasione fiscale ne parli Livadiotti, conquistandosi la cattedra sul campo. Chapeau. Peccato che i discorsi  rimangano sempre al punto di partenza  e il disorientamento cresca, come pure illusorie aspettative nei confronti della politica. L'unico modo per venirne pian piano fuori è utilizzare l'informazione per fare formazione alla pubblica opinione e alle classi  dirigenti. Sulle accademie, ormai, c'è poco da fare assegnamento. 

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