Redditometro: la nemesi della spiegazione demoniaca dell'evasione fiscale

Tutto ha una spiegazione nell'universo, persino le zanzare e il redditometro, palliativo momentaneo contro malesseri sociali derivanti da sperequazioni fiscali fortuite, connesse ad aspetti della tassazione che nessuno ha mai spiegato all'opinione pubblica. Non gli economisti, assorbiti dallo studio degli effetti economici dei tributi, nè i giuristi, impegnati nel migliore dei casi  in dettagli avvocateschi. L'opinione pubblica resta quindi senza punti di riferimento, in grado di spiegarle che il punto di forza della tassazione odierna, sono le rigidità amministrative aziendali, che assorbono i consumi e restituiscono i redditi, in un circuito che fa emergere i primi ai fini IVA ed i secondi ai  fini delle ritenute. Da qui  viene il grosso del gettito e poco più di 5000 uffici ragioneria  di grandi aziende ne portano quasi il 70 percento. Centinaia di miliardi di euro sui circa 450 di gettito complessivo statale. Sono loro i veri esattori del fisco, altro che equitalia, ma lasciano scoperti ampi settori di economia dove dominano ancora "gli autonomi" o le piccole organizzazioni fortemente padronali. Dove non funziona la tassazione ragionieristica occorrerebbe, in modo sufficientemente sistematico, la tassazione valutativa da sempre svolta dagli uffici. E' questa che, più che essersi paralizzata, non è mai davvero partita, con un'accademia che le proponeva modelli culturali analoghi a quella ragionieristica delle aziende, come se si  potesse dimostrare la ricchezza non registrata in modo documentale, con gli uffici che producono, per l'occasione, un surrogato della contabilità fiscale. Il nodo dell'evasione non è quindi politico, ma di consapevolezza culturale, potremmo dire "tecnico", intendendo per tecnica lo studio giuridico dell'organizzazione sociale, complementare di quello economico. Senza punti di riferimento concettuali, senza sapere la fonte delle imposte incassate nè il motivo di quelle perdute,  l'opinione pubblica, in mancanza di meglio, utilizza spiegazioni fai da te, o cade preda di opposte, strumentali demagogie. La gente inizia a farneticare di onesti, disonesti, partiti degli evasori, stato di polizia fiscale, parassiti sociali, evasori "stanati" come se fossero untori di manzoniana memoria. Si alimenta una  spirale lacerante, un formicaio impazzito dove è necessario riportare un minimo di coesione. A questo scopo bisogna sfogare le tensioni in qualche modo e a questo serviva il redditometro. Esso stemperava le "lotte di classe fiscali" che vedevano contrapposti autonomi, dipendenti, piccoli commercianti, professionisti e artigiani, in un polverone dove tutti sono uguali davanti alla spesa, non ci sono più categorie "nel mirino". Si coltiva l'ìllusione della tassazione ragionieristica dove le aziende non arrivano, come si era fatto trasformando gli studi di settore in "cud degli autonomi" oggi si trasforma il redditometro nel "cud del popolo". Recuperando così una unità di fronte al fisco, ma posticcia, illusoria, artificiosa e inconcludente. Col redditometro si prende tempo, si tampona il problema mediaticamente, ma si disabitua ulteriormente la macchina fiscale a valutare la ricchezza dove le aziende non arrivano. Si costringono gli uffici a disperdersi sulla ricostruzione delle spese e sui loro innumerevoli modi di finanziamento, quando basterebbe la valutazione del reddito derivante dall'attività, guardando il negozio, il laboratorio, lo studio, anzichè i mille rivoli delle spese personali. Il redditometro serve quindi alla lotta all'evasione in televisione, ma oggettivamente ostacola la sistematica e serena determinazione valutativa della ricchezza dove la contabilità delle aziende (veri esattori del fisco) non riesce ad arrivare.

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