Il pasticcio della franchigia sulla frode fiscale

 Il progetto di decreto delegato sui reati tributari conferma che la materia tributaria è la punta di diamante della crisi della pubblica amministrazione italiana.  Le istituzioni  funzionano benissimo, intendiamoci, ma l'agenzia delle entrate è ostaggio del bagaglio culturale generale di un settore dove l'evaporazione del pensiero è partita dall'università e si è generalizzata.  Fino al punto che non si riesce più neppure ad amministrare per legge, con un decreto delegato su abuso del diritto e sanzioni penali tributarie completamente incapace di realizzare i giusti obiettivi che la pubblica opinione si attendeva da lui.

La perla è la franchigia del 3 percento su tutti i reati, compresi quelli di frode , di alterata e consapevole rappresentazione della realtà. Al di là dell'inserimento della sfortunata norma all'ultimo momento, la vicenda testimonia una confusione di idee e una clamorosa incapacità progettuale "a monte", nella commissione istituita per la redazione del decreto  delegato, evidentemente messa insieme con criteri più relazionali che di sostanza, che sicuramente intravedeva i problemi, ma non li  padroneggiava in modo adeguato  per legiferare senza fare pasticci. Ha un senso la franchigia "de minimis" i mille euro per non avviare azioni penali sui ladri di polli, magari lavoratori dipendenti che fanno la cresta sul taxi in nota spese, o partite iva che manipolano la carta carburanti (erano partite azioni penali per queste sciocchezze). Il pasticcio sulla franchigia nasce dal sostanziale e giusto riconoscimento che l'evasione interpretativa non può essere reato, cui si arrivava anche prima della riforma, con un pò di intelligenza. Forse si è pensato  che nell'articolo 4 rientrasse solo l'evasione interpretativa, già penalmente irrilevante di suo, e quindi si è estesa  la franchigia percentuale sul dichiarato a tutti, compresa la consapevole frode. Come se ogni 100 euro di dichiarato ci fosse la possibilità di frodare tranquillamente per 3 euro, senza sanzioni penali (ciò avrebbe salvato pure Berlusconi, con una dietrologia mediatica e una ulteriore confusione che la metà basta).  Non si sono accorti che nella dichiarazione infedele semplice (art.4) resta parecchia ricchezza non registrata, come la mancata dichiarazione di alcuni incassi, che è "intenzionale" (dolosa), ma può non far scattare i reati di frode per mancanza di documenti fittizi, poi ci sono le questioni di valutazione come il TP, l'inerenza, la rappresentanza, le provvigioni a terzi, dove a grandi contribuenti può capitare di non riuscire a monitorare adeguatamente cifre in assoluto superiori alle soglie, ma poco rilevanti nell'economia del loro bilancio. In questi casi è anche possibile che qualcuno firmii la dichiarazione, evadendo a sua stessa insaputa. E' possibile all'interno delle grandi organizzazioni, ma la frode non c'è, perchè' nessuno si mette in tasca nulla, oppure c'è ma è realizzata da dipendenti, come nel caso fastweb, dove  i vertici aziendali erano vittime e quindi manca il dolo. Quando i vertici aziendali sono invece protagonisti non si giustifica alcuna franchigia, che quindi dev'essere limitata all'articolo 4. Sicuramente andrà così, non ci vuole molto a prevederlo, ma la figuraccia, il protagonismo e il dilettantismo restano, come risulta dal seguente articolo di repubblica di oggi. 

 di Silvia Barocci e Andrea Bassi

L'interpretazione del diritto già di per sé è una strada che non conosce certezze granitiche e, anzi, molte deviazioni. Figuriamoci se l'interpretazione riguarda una norma non ancora definitiva - perché mancano i pareri delle commissioni parlamentari competenti - e che sarebbe stata inserita in extremis al decreto legislativo sulla «certezza del diritto» approvato a Palazzo Chigi la vigilia di Natale.

Arrivati a metà del testo, in molti si sono chiesti se di quella norma possa beneficiare o meno Silvio Berlusconi, che sta scontando una condanna definitiva a quattro anni (di cui tre coperti da indulto) per frode fiscale nel processo Mediaset. A questi vanno aggiunti i due anni di interdizione dai pubblici uffici come pena accessoria e i sei anni di incandidabilità previsti dalla cosiddetta legge Severino.
La norma sospettata, introducendo l'art.19 bis al decreto legislativo del 2000 in materia di reati tributari, prevede una specifica causa di esclusione di punibilità: «Per i reati previsti dal presente decreto, la causa è comunque esclusa quando l'importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al tre per cento dell'imponibile dichiarato o l'importo del valore aggiunto evasa non è superiore al tre per cento dell'imposta sul valore aggiunto dichiarata».

Cosa significa? Può riguardare o no la frode fiscale per cui l'ex premier è stato condannato? «Assolutamente no, non riguarda Berlusconi - dice il suo avvocato Niccolò Ghedini -. Questo articolo si riferisce solo all'infedele dichiarazione». Ma per molti esperti di diritto la norma, così scritta, si applicherebbe anche alle false fatturazioni e alla frode fiscale. Che nel caso specifico di Berlusconi sarebbe al di sotto della prevista soglia del 3%.

Anche se la condanna di Berlusconi è già passata in giudicato, l'ex Cavaliere può beneficarne comunque? La risposta è sì. Grazie all'incidente di esecuzione, un istituto che già nel 2003 ha consentito a Cesare Romiti di vedere revocata la sentenza di condanna a 11 mesi che la Cassazione gli aveva inflitto nel 2000: nel frattempo, infatti, era stato depenalizzato il reato di falso in bilancio e dunque la Corte di Appello di Torino non aveva potuto far altro che revocare la condanna in quanto il fatto sulla base del quale era stata emessa la sentenza non era più previsto dalla legge come reato.

GLI EFFETTI
Le strade che si aprirebbero a Berlusconi - sempre che la norma sia interpretabile a suo favore o che non venga cambiata - sono molte. I benefici sarebbero pressoché irrilevanti sulla pena da scontare: il periodo di affidamento ai servizi sociali dell'ex premier presso l'istituto Sacra famiglia di Cesano Boscone scadrà infatti a breve, il prossimo febbraio. La più grande vittoria sarebbe un'altra, tutta politica. Perché oltre alla pena principale verrebbe cancellata anche quella accessoria (i due anni di interdizione dai pubblici uffici) assieme agli effetti penali della condanna. Questi ultimi altro non sono che i sei anni di incandidabilità previsti dall'art. 13 della cosiddetta legge Severino che già gli aveva fatto perdere il titolo di senatore. E così l'ex Cavaliere tornerebbe in sella

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